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Il Gruppo, come lo stesso John Nash aveva affermato, non è solo un insieme di individui, bensì qualcosa di più. Ed è proprio questo gruppo che, nei momenti topici, risolta vincente, ed è capace di fare cose che i singoli individui, da soli, non potrebbero fare. Purtroppo, gli italiani sono tra i popoli del mondo dove questa coscienza è completamente assente. Le conseguenze di questa assenza sono, purtroppo, sotto gl occhi di tutti, soprattutto di chi la coscienza di gruppo l’ha, e si trova a “subire” questa assenza. Credo che una delle cose che colpisca del Popolo Italiano è la totale incapacità di passare dalla “coscienza individuale” alla cosiddetta “coscienza collettiva”, o “coscienza di popolo”. In altre nazioni che mi è capitato di visitare, e nelle quali conosco persone, infatti, questo passaggio è sicuramente molto facile, ed avviene in maniera quasi immediata: al bisogno, si passa dall’individuale al collettivo. In Italia, invece, tutto questo è completamente assente: il popolo italiano sembra che non abbia alcun tipo di coscienza collettiva, di alcun genere. Lo si vede in moltissime cose: la gente “mugugna”, magari molto, si lamenta, ma poi, messa alle strette da paure, magari ingiustificate, abbassa la testa e docile obbedisce. Come diceva una mia amica giornalista, il popolo italiano è anarchico, disobbediente, ma poi è tutto compatto nell’eseguire gli ordini, quando la paura di essere “toccato nel portafogli” o di essere privato della libertà fa il suo corso, ed agisce in maniera profonda, a tutti i livelli. Un popolo strano, quindi, che, quando si tratta di agire in maniera decisa e compatta, si ritira, rifugiandosi, magari nelle vignette e nell’ironia: cosa che va sempre bene, come ben sappiamo, ma, mai come in determinati momenti è deleteria, perché fa fuggire dalle cose che davvero si devono affrontare. Per poter capire tutto questo, tuttavia, facciamo un passo indietro, e cerchiamo di capire cos’è questa “coscienza collettiva”, questa “coscienza di popolo” che gli italiani sembrano no avere. Per poterlo fare, è bello andare a “fare conoscenza” con un matematico piuttosto famoso del recente passato: John Nash. Ron Howard gli aveva dedicato il bellissimo film: “ A beautiful mind” (2001): un film che, seppur tendente a quell’aspetto “eclatante” tipico della filmografia statunitense, ha comunque avuto il merito di rendere omaggio ad un grande studioso, le cui teorie sono state applicate un po’ in tutti i campi, compreso quello economico. Ed è proprio per l’Economia che questo Matematico ottenne, nel 1994, il Premio Nobel per l’Economia. John Nash, nelle sue teorie, aveva definito molto bene il concetto di gruppo. Il film ne parla con una gradevole e quasi comica scena che, tuttavia, fa capire che il gruppo non è solo un insieme di individui, ma è qualcosa a sé stante. Per cui, il bene del singolo potrebbe non essere coerente e collegato con il bene del gruppo. In questo, il matematico ha completamente stravolto il concetto di economisti come Adam Smith, per i quali il benessere del singolo equivale, sempre e comunque, a quello del gruppo. Credo, cari amici, che sin qui ci siamo di sicuro: ed è molto facile capirlo: il benessere del singolo non sempre è quello del gruppo. È ora interessante, e divertente, riprendere la scena con cui Ron Howard, nel suo citato film, illustra questo fatto: al bar del Campus Universitario John Nash era in compagnia di tre suoi amici. In quel locale c’erano anche quattro ragazze carine, ma non bellissime, ed una bellissima. Nash, di colpo, deduce una cosa divertente: “Se tutti ci proviamo con quella più bella, nessuno l’avrà, perché ci ostacoliamo tra di noi. Poi le altre ci volteranno le spalle, perché non vogliono essere una seconda scelta”. Quindi, la scelta migliore, era per ognuno andare da una delle ragazze meno belle: le probabilità di “successo” saranno molto maggiori!” Un esempio goliardico che, però, fece capire al giovane Nash come andavano davvero le cose. E lo fecero lasciare di corsa la compagnia, tornando nel suo alloggio, dove elaborò i fondamenti della teoria che gli valse, molti anni dopo, il Premio Nobel. Questa scena divertente, tuttavia, dovrebbe fare capire lo stesso anche a noi: quando si passa dall'individuale al collettivo, le cose cambiano completamente: quello che per l’individuale non è vero, lo è per il collettivo. Comprese leggi, decreti e qualsiasi alta cosa davanti a noi. Facendoci allo stesso modo comprendere molte cose e situazioni. E come questo passaggio, in particolare in una democrazia, cambi molte cose. La parola “democrazia”, infatti, vuol dire “potere al popolo”. Non, però, al singolo, ma al popolo come gruppo. È il popolo, il gruppo, non il singolo, che comanda. E questo non è molte volte chiaro agli italiani: potere al popolo non vuol dire potere ai singoli in maniera indiscriminata, ma che “il popolo è sovrano”. Che, quindi, le persone che governano sono elette dal popolo, che fanno tutto in nome del popolo, e così via. E, anche, che il popolo, in ogni momento può togliergli il potere. Quindi, tutto avviene perché il popolo lo vuole. Tuttavia, il popolo, non i singoli individui. Il popolo come struttura unica. Ed è questa “coscienza di popolo” che fa capire quando una cosa, magari punibile per il singolo, non lo è per il popolo come struttura. Facciamo un esempio: viene indetto un blocco della circolazione, come quelli che, in diverse occasioni, sono stati, nel corso del tempo, indetti. Se una persona decide di andare in giro ugualmente in auto, sicuramente verrà multata. Non può succedere altro! Tuttavia, cosa potrebbe accadere se il 50% delle persone cominciassero ad uscire in auto, incuranti del divieto? Verrebbero ancora multati? Non di sicuro! E, se sì, nessuno, potete ben immaginare, pagherebbe mai quelle multe! E, verosimilmente, nessun provvedimento di quel tipo verrebbe più preso, semplicemente perché… il popolo l’ha respinto! Questo passaggio è quindi fondamentale: se il singolo commette qualcosa contro un decreto, una legge o altro ancora, viene sanzionato, magari anche pesantemente, ma se lo commettesse il popolo… non solo non viene sanzionato, ma con il suo operato, annullerebbe quella legge! Questo passaggio, come vedete , è molto semplice, ed è la base non solo delle democrazie, ma di tutto il comportamento civile: quando il popolo riscopre la sua “coscienza collettiva”, quindi il suo essere non solo un insieme di individui, ma un gruppo, con una forza ben superiore a quella di un insieme di individui, può di fatto fare qualsiasi cosa. Non a caso gli Inti Illimani, nella loro canzone, cantavano: “El pueblo unido jamas serà vencido” (Il popolo unito domani sarà vincitore). Ma il popolo, non in singoli individui: il popolo come entità collettiva. Quindi il gruppo, di cui lo stesso Nash parlava. In Italia, tutto questo non è sicuramente nella mente delle persone: l’italiano medio concepisce sé stesso, forse le persone vicine a lui, ma questa “coscienza di gruppo” manca del tutto. l’italiano, purtroppo, come dicevo, è anarchico, e nello stesso tempo capace di muoversi come un branco, all’unisono del primo incantatore, che sventola davanti a lui la bandiera della paura. Il suo essere fondamentalmente anarchico, senza coscienza di gruppo (cosa che, invece, nei “veri” movimenti anarchici era ed è molto diffusa) lo porta ad un concepire il “potere al popolo”, espresso a gran voce dalla democrazia, come “faccio quello che voglio”. La libertà, per l’italiano, è assenza assoluta di regole: la regola è, per lui, comunque negativa. Basterebbe, invece, osservare ad esempio che la regola è la base del vivere civile, il modo per far sì che la nostra libertà non invada quella degli altri. È il modo, insomma, per “porre quei paletti” che permettono a ciascuno di coltivare a proprio piacimento il suo orto, senza invadere quello degli altri, e lasciando all’altro il diritto di coltivarlo come vuole. Per l’italiano questo non esiste: l’italiano medio, spesso, parcheggia l’auto in modo da bloccare qualcuno, senza curarsi dei problemi che l’altro potrebbe avere: l’italiano medio pensa solo a sé, ai suoi interessi, ignorando completamente quelli degli altri. Ricordo, anni fa, che ero in giro in auto con un mio amico. Abbiamo parcheggiato l’auto, e io mi preoccupavo del fatto che il parcheggio avrebbe potuto bloccare qualcuno. La risposta del mio amico era stata: “tu devi pensare a te” . E, dalla circolazione stradale, cosa molto emblematica (infatti, in un’auto, la persona ha, metaforicamente, decisamente più “potere”: e in tal modo si può vedere come lo usa!) Però, poi, dall’anarchia si passa facilmente alla dittatura: infatti, quando tutti fanno quello che vogliono, chi urla di più non avrà nessun freno a prendere il comando, imponendo agli altri quello che vuole. Nel caso dell’italiano medio, la cosa diviene ancora leggermente differente: il suo spirito anarchico, nella peggiore delle accezioni, lo porta a non avere nessuna coscienza dell’altro e della società in generale. Tutto ciò, però, lo porterà, poi ad essere docile ed obbediente, come una sorta di “scimmia ammaestrata”, per usare la parola di un’amica, che farà tutto quanto gli viene detto. Per poter ottenere questo, il meccanismo è uno solo: la paura. Non avendo alcun senso di collettività, di gruppo, di popolo, dal momento in cui qualcuno “sventolerà” la paura di multe o addirittura di privazione della libertà, l’italiano chinerà la testa e farà tutto quanto gli viene detto di fare. Infatti, i due istinti principali che una persona ha sono l’istinto di sopravvivenza e quello di libertà. Le sue più grandi paure, quindi, sono la paura della morte e quella della privazione della libertà. La multa, in sé, contiene l’idea di perdita di denaro. E la perdita di denaro, anche come “paura atavica”, contiene l’idea di “non avere di che vivere”, e quindi di morte; la paura di sanzioni penali, invece, contiene la paura della perdita della libertà. Di conseguenza, l’italiano agirà disciplinatamente, alla paura di sanzioni che possano toccare il suo portafogli, oppure di minacce di arresto, seppur fittizie, che mineranno la sua libertà. A questo punto, il “passaggio al collettivo” di cui parlavo prima, non sarà possibile: infatti, come detto poco fa, l’italiano non sa fare quasi mani questo passaggio delle “coscienza di gruppo”: è un individuo, o al limite un insieme di individui, ma non è mai un gruppo. E, di conseguenza, sarà vinto dalla paura, e abbasserà la testa, facendo quello che gli viene detto. Il suo “spirito anarchico”, nella maniera sbagliata, purtroppo ne farà una persona docile e mite al suono del bastone. Per capire meglio questo passaggio, possiamo pensare a un gregge di pecore: tutte vanno dove vogliono, sono incapaci di coscienza collettiva: tuttavia, il bastone del pastore, e il latrato del cane, le ricondurranno tutte in massa. Per poi rivederle disperse, dal momento in cui il bastone cesserà di vibrare e il cane cesserà di latrare. Tuttavia, a differenza che pecore, gli italiani sono uomini. E l’uomo, ben si sa, agisce non solo in base ad una paura tangibile, come un bastone, ma anche immaginata. Di conseguenza, non sarà necessario il bastone “materiale”: basterà quello “virtuale”, della paura della sanzione che il non fare una cosa comporterà, per ricondurlo disciplinatamente all’ovile, vale a dire al fare una cosa. La paura, poi, come ben si sa, disconnette la corteccia cerebrale, e quindi fa sì che la persona “non pensi”, magari al fatto che le cose minacciate non potranno mai avvenire: quelle cose saranno lì, come già avvenute, almeno in una parte di sé. E l’italiano è facilmente manipolabile dalla paura. Inoltre, la paura “isola” ulteriormente, e, quando agisce su una persona che già manca di coscienza collettiva, di coscienza di gruppo, compie l’atto finale, isolando le persone in maniera definitiva. Si dice spesso: “la paura fa novanta”, in questo caso, fa separazione, quella definitiva. Ecco le caratteristiche dell'italiano, che paiono paradossali: incapace di coscienza di gruppo, e anarchico nella maniera sbagliata, diviene poi del tutto docile e malleabile nel caso venga sventolata la paura di qualche punizione: questa sarà l’unica cosa che capirà davvero. Questa analisi però ci dice un’altra cosa importante: vale a dire, perché, dove c’è ordine, esiste libertà e democrazia. Infatti, dove c’è ordine, c’è coscienza della regola, e c’è anche coscienza che quella regola serve al gruppo. Diversamente da quanto ci si può aspettare, quindi, è proprio la regola, civile e democratica, che crea la coscienza di gruppo. Ovviamente, quando è accettata dal gruppo, non visto solo come insieme di persone, ma come qualcosa in più. Dove c’è disordine, invece, le persone non hanno coscienza di gruppo, e agiscono tutte solo “come singoli individui”. A questo punto, un “bastone”, agitato adeguatamente,m li ricondurrà buon buoni all’ovile. Basta osservare i paesi dove c’è disordine, vedendo che passano da una dittatura all’altra, perché tutto questo divenga immediatamente molto chiaro. Credo che questa analisi faccia capire molto bene quanto importante sia lo spirito di gruppo, e quale forza, davvero dirompente, questo possa avere. Quando il gruppo assume questa coscienza, nessuno lo può davvero fermare,. E la sua forza si esprime con bellezza. l'italiano, purtroppo, questa coscienza non l’ha: le conseguenze di ciò, sono sotto gli occhi di tutti. Anche ora. Purtroppo!
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Commento
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Commento di: emilia.urso | Ip:83.73.103.204 | Voto: 7 | Data 06/12/2024 05:11:00 |
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