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Cechov al teatro Quirino: Il giardino dei ciliegi

Cechov al teatro Quirino: Il giardino dei ciliegi
Autore: Recensione a cura della nostra inviata Teresa Corr
Data: 04/11/2015

Approda al teatro Quirino di Roma, lo spettacolo di Anton Čechov "Il giardino dei ciliegi" per la regia di Luca De Fusco. Una versione che dopo il debutto a Napoli del 2014, ha continuato la sua tournée in giro per l'Italia, fino ad arrivare a settembre a San Pietroburgo dove ha riscosso molto successo.

Adesso la versione dell'ultimo lavoro teatrale dello scrittore russo, è stata riadattata dal regista napoletano De Fusco, che l'ha resa un po' più italiana, ma soprattutto napoletana. È lo stesso regista e adattatore del testo che afferma di aver sempre pensato che la aristocrazia del sud Italia e quella russa si somigliano molto, non avendo mai avuto la capacità di entrare nell'era moderna, saltandola e ritrovandosi in quella post-moderna. Nobili che non hanno saputo affrontare il Novecento e il periodo industriale, non riuscendo a diventare moderni.

Il testo che ha per protagonista la nobile russa Ljiuba, infatti narra del suo rientro a casa dopo una lunga permanenza a Parigi, del suo senso di contrasto con il denaro, che nonostante la sua precaria situazione familiare, sperpera il proprio denaro, facendosi aiutare da prestiti che non potrà mai restituire. Proprio a causa della sua situazione economica, la donna fa rientra a casa dove la sua proprietà e il suo amato giardino dei ciliegi, deve essere venduto all'asta. I ricordi, la famiglia, i servitori, il luogo e lo stesso giardino, portano la donna a ricordare la sfarzosa vita che per anni quel posto ha vissuto. Ma nessuna manovra e nessun aiuto riescono a salvare la proprietà, che alla fine andrà nelle mani del commerciante Lopachin, figlio di un vecchio servo della casata.

Il giardino dei ciliegi racchiude un insieme di sentimenti, in un affresco sociale, ma è soprattutto un racconto dell'incapacità di diventare adulti.

Sulla scena Gaia Aprea che impersona Ljiuba, Claudio Di Palma (Lopachin), Jaša Paolo Cresta, Dunjaša Serena Marziale, Anja Alessandra Pacifico Griffini, Trofimov Giacinto Palmarini, Pišcik Alfonso Postiglione,Varja Federica Sandrini, Epichodov Gabriele Saurio, Šarlotta Sabrina Scuccimarra, Gaev Paolo Serra, Firs Enzo Turrin.

L'impatto iniziale della scena del primo atto è un insieme di bianco che illumina tutto. Non solo le scenografie risaltano questo colore, ma anche gli abiti degli attori sono del tutto bianchi. Nel momento dell'apertura del sipario gli attori appaiono immobili su una scalinata. Stanno arrivando con il treno, mentre, stesi in terra, i servitori che sono andati a prenderli alla stazione. La loro immobilità prende vita dopo le prime battute che loro stessi affrontano, per poi scendere sul palco e riempirlo dei rumori, delle azioni.

Forte appare la napoletanità nelle scene, ne gesti, nella capacità di muoversi e nel gesticolare. Una caratteristica che rende lo spettacolo unico nel suo genere.

In alcuni momenti dello spettacolo la scenografia di Maurizio Balò, appare come un affresco dell'ottocento, che vuole sottolineare la situazione aristocratica, mentre attorno si muovono gli attori. Il contrasto poi tra la scenografia sempre in bianco e il cambio degli abiti della seconda scena, dove appare il nero, elegante per la serata da ballo, ravviva la scena.

Anche le musiche si adattano alle scene e, nella scena del ballo si apprestano a mostrare la sensualità dell'evento.

Se nella prima scena appare calamitizzante la posizione degli attori immobili sulla scala, in quella finale attrae il loro andar via proprio attraverso questa, in modo singolare.

Un modo singolare e perfetto, per un finale di spettacolo che permette di lasciare il teatro contenti di aver assistito ad una rappresentazione che non stanca.




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