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Campi rom e caccia alle streghe

Campi rom e caccia alle streghe

Autore: Antonio Martines
Data: 29/11/2007 12:47:27

Campi rom e caccia alle streghe 
 

Il 5 Novembre un comunicato stampa dell'Agenzia Dire daua riportava che: "I cittadini di Santa Cornelia hanno segnalato che nelle ultime ore numerosi nomadi rumeni, allontanati dalla zona di Tor di Quinto, si sono installati lungo le scarpate di via di Santa Cornelia all'altezza del primo Km e   nei pressi di un elettrodotto all'interno del parco di Veio. Santa Cornelia e' un quartiere dell'estrema periferia del Comune di Roma, sul territorio del Municipio XX, nelle immediate   vicinanze di Prima Porta".
 
Ansiosi di verificare tale fonte, io e Marco (un mio collega),nei giorni successivi ci siamo recati sul luogo. Dopo aver lasciato la nostra macchina nel parcheggio di un piccolo centro commerciale sito  in via Giustiniana, ci dirigiamo a piedi lungo il primo chilometro di via Santa Cornelia. Il primo tratto è piuttosto pianeggiante ma dalla prima curva a sinistra la pendenza della strada incomincia ad avere una certa importanza, dopo aver percorso circa ottocento metri a piedi di cui buona parte in salita arriviamo ad un punto in cui sulla destra c'è la fermata di un autobus, seguita poco più avanti dall'imbocco di un viale che porta verso un'abitazione privata.
 
Attraversiamo la strada scavalcando il guard rail e notiamo che qui la vegetazione si fa meno fitta visto che c'è un piccolo spiazzo erboso. Si capisce subito che li di solito ci passa qualcuno visto che ci sono due piccoli sentieri in mezzo all'erba alta, uno di questi è perpendicolare alla strada e porta dritto verso la boscaglia, l'altro invece gira a sinistra. Decidiamo di percorrere il primo e notiamo subito che proprio in prossimità dell'ingresso nel boschetto c'è un mucchio di rifiuti, composto per lo più da stracci e manici di ombrello, ci abbassiamo nell'intento di scendere lungo il sentiero nella speranza di non scivolare, visto che da li in poi la discesa diventa molto ripida, si tratta di un vero e proprio tunnel coperto da piante fittissime.
 
 
Dopo circa venti metri notiamo sulla nostra destra una baracca: ci siamo pensiamo entrambi. Nel silenzio più assoluto e con un po' di titubanza ci avviciniamo, l'atmosfera è surreale, arrivati a circa cinque metri dall'abitazione non notiamo nessun movimento. Davanti alla povera dimora c'è una sedia e subito dopo di questa un telone , forse sotto di esso c'è qualcuno che dorme, ma né io, né Marco c'è la sentiamo di scoprirlo. Torniamo cosi indietro dirigendoci verso l'altro sentiero, notando come quella fitta vegetazione costituisca una sorta di barriera naturale per quelle baracche, infatti al di fuori dei due sentieri non vi è possibilità di accesso.
 
Qui il sentiero e molto più agevole rispetto all'altro, addirittura vi sono dei veri e propri gradini ricavati nella terra, segno evidente che questo insediamento non è di recente costruzione. Scendiamo anche qui cercando di fare il meno rumore possibile, io personalmente cerco di ricordare i dettami  da applicare in frangenti simili, che mi erano stati insegnati durante il mio anno di leva negli alpini, ma in realtà non ricordo nulla. Arrivati in prossimità dell'accampamento  la prima cosa che salta agli occhi è il caos più assoluto, ed è un elemento che colpisce, visto che è in assoluto contrasto con "l'ordine" che regnava presso l'altra baracca. Lungo il sentiero che attraversa il piccolo insediamento c'è di tutto: un piccolo comodino scassato, bottiglie di plastica vuote, divani e sedie strappati, porte divelte e sfondate, un lavandino d'acciaio, materassi, vestiti,pentole e tanto altro ancora. Sembra che di li ci sia passato un vero e proprio uragano, tuttavia quel disordine ha qualcosa di strano, lascia presupporre una causa misteriosa, che infatti dopo individueremo. Tutto ciò lo scorgiamo senza attraversare il sentiero che scorre in mezzo alle baracche, ma fermandoci sulla scaletta naturale che stavamo percorrendo. Infatti io  e Marco abbiamo deciso (tacitamente d'accordo) di monitorare la zona da una prospettiva sicura prima di avventurarci, ed in effetti quello che abbiamo visto non è che ci avesse convinto a spingerci più in là di dove eravamo. Decidiamo cosi di tornare indietro, magari nel tentativo di trovare un altro sentiero più sicuro, che ci evitasse di esporci ad eventuali imboscate. Ma proprio mentre risaliamo dalla strada vediamo scendere tre persone, un uomo e due donne. Con molta naturalezza mi dirigo verso di loro e appena arrivati alla giusta distanza mi dichiaro mostrando il mio tesserino da pubblicista. L'uomo, all'incirca sulla quarantina, saputo che ero solo un giornalista, denota un certo sollievo e si scioglie subito in una chiacchiera confusa ma pacifica, mi dice che : " Sono contento che sei un giornalista, in questi giorni io e mia moglie abbiamo paura…", prima che continui a parlare gli chiedo se possiamo continuare la nostra conversazione all'interno della piccola baraccopoli, di modo che possa vedere con i miei occhi in che condizioni si trovano. L'uomo, di cui non riferisco il nome (poi capirete il perché), è un operaio che si occupa di manutenzione stradale e lavora dalle parti di Piazza Euclide. Mi dice che non siamo i primi giornalisti a fargli visita, dopo il terribile delitto Reggiani, "prima di voi ne sono passati altri due. Anche loro pensavano che noi facessimo parte dei Rom sfollati da Tor di Quinto, ma noi siamo qui da tre anni. Guarda…" Mi invita a toccare una delle baracche rimaste ancora in piedi, " Come facevo a costruire questa nell'arco di cinque giorni?". Effettivamente la baracca è piuttosto stabile, poggia su delle solide basi di legno e il suo soffitto interno e sostenuto da rami che non era facile tagliare e lavorare in cosi  poco tempo, mi convince. " Io e mia moglie, con sua sorella e altre due persone sono ormai tre anni che stiamo qui, purtroppo con quello che si guadagna non possiamo certo permetterci una casa regolare e anche se potessimo difficilmente ce la darebbero, visto che siamo rumeni".  Nel frattempo la moglie mi mostra un foglio del Giornale, effettivamente nell'articolo  si dicono le stesse cose che avevo letto sul comunicato della Dire. Le chiedo se in quei giorni qualcuno dei Rom si fosse insediato per caso nella stessa zona, ma la sua risposta non lascia spazio a nessun sospetto " No qui in zona ci siamo solo noi, è da tre anni che siamo qui. Giù a Labaro invece di Rom se ne trovano eccome, ma noi non abbiamo niente a che fare con loro, e adesso per colpa di queste notizie, l'altro giorno è venuta una squadra di carabinieri. Erano all'incirca una ventina, hanno sfasciato tutto e ci hanno detto che avremmo dovuto andarcene immediatamente, ma dove? Io lavoro onestamente ma non posso permettermi un appartamento, comunque la paura è tanta e credo che alla fine ce ne andremo veramente." Interviene il marito, "Che motivo c'èra di fare questo scempio, guarda hanno distrutto tutto, si sono portati via anche un piccolo televisore, che io e mia moglie guardavamo la sera quando tornavamo a casa. Lo hanno sequestrato dicendomi che probabilmente si trattava di refurtiva, e non è servito a niente mostrargli lo scontrino o dirgli di andare a parlare col titolare del negozio dal quale lo avevo comprato" Nel frattempo noto che dal sentiero scende giù un altro uomo, le donne mi dicono che anche lui vive insieme a loro da molto tempo. Quest'ultimo dopo aver parlato in rumeno con i propri compagni si rivolge contro me e Marco dicendo che è per colpa delle notizie false di noi giornalisti che la polizia si è scagliata con tanta violenza contro di loro, ma i suoi compagni lo calmano subito. Dopo lo sfogo iniziale anche lui ci parla dei suoi problemi " qui ormai non è più sicuro dobbiamo andarcene, ma io non voglio tornare in Romania. La notte abbiamo paura, l'altro giorno quando è venuta la polizia, dalla strada abbiamo sentito una voce che gridava " Vi bruceremo tutti"". Una delle donne sembra quasi che cominci a piangere: "Non è giusto non abbiamo fatto nulla di male, non potete criminalizzare un intero popolo a causa di un solo individuo. Io lavoro qui per poter mantenere il mio bambino in Romania…" dopodiché tace. Marco si è messo a parlare con i due uomini, uno di questi  ci mostra l'ascia utilizzata dalla polizia per sfasciare gran parte del campo. A giudicare dai danni sembra quasi che abbiano lasciato l'opera a metà,forse erano stanchi o forse mossi  a compassione hanno deciso di risparmiare un paio di baracche. Chi può dirlo? Nel frattempo mentre Marco continua a parlare con loro, ne approfitto per fare delle foto: distruzione, desolazione, miseria. Questo è ciò che vedo, ma la cosa più brutta è che ormai non mi stupisce più di tanto.

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