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Teatro Quirino: la Laurito da forfait, al suo posto Peppino De Filippo in 'Non e ' vero, ma ci credo

Teatro Quirino: la Laurito da forfait, al suo posto Peppino De Filippo in 'Non e ' vero, ma ci credo
Autore: Nostro inviato Luca Nasetti
Data: 30/10/2013

 

Come si dice: la fortuna è cieca, ma la “sfiga” ci vede benissimo. Basta crederci, anche se non è vero. E se l’obiezione più comune alla iattura rimane affidarsi alla razionalità delle coincidenze, allora quelle messe in scena al Teatro Quirino ieri sera (29 ottobre, ndr) rappresentano il non plus ultra del genere.

Uno: la società produttrice de “La signora delle mele”, spettacolo con Marisa Laurito che avrebbe dovuto esordire proprio ieri, aveva già comunicato il 28 ottobre scorso che il complesso impianto di multivisione e il software che gestisce il sistema di scenografia video è andato definitivamente in blackout.

Siccome l’impianto è la base tecnica di tutto lo show e il materiale per ripristinarlo è reperibile solo all'estero, il palco dello storico teatro romano è stato costretto a cambiare programma inserendo nel palinsesto la commedia di Peppino De Filippo “Non è vero… ma ci credo”, per la regia di Michele Mirabella.

Due: a pochi minuti dall’inizio dello spettacolo, un’attrice del cast si sente male. Il medico, causa traffico per l’ora di punta serale e la difficoltà di trovare parcheggio, arriva sì nei camerini, ma ritarda di un buon quarto d’ora l’alzata del sipario. In sala gli spettatori, tra cui il regista e anche il presidente del Senato Pietro Grasso, non fanno una piega: “può succedere”, pensano, finché un leggero sorriso ironico si stampa sui volti quando la memoria ritorna al tema della commedia: la superstizione (e tre). Coincidenze? Chissà. Dita incrociate e scaramanzia di rito nel dietro le quinte e sul palco, la commedia finalmente ha inizio. Comica e grottesca. Divertente per tutto il primo atto, forse un po’ prolissa nel secondo: battute secche di vecchia scuola fanno sorridere di gusto, aiutate anche da una piacevole cadenza napoletana.

Chi ascolta rimane sempre in attesa che il protagonista Gervasio Savastano, alias Sebastiano Lo Monaco, colga l’occasione di irridere e allontanare la sfortuna che, secondo lui, lo perseguita tormentando i suoi importanti affari.

Oggetto di scherno e contro maledizioni da chiromante popolare, è il povero ragioniere Malvurio Belisario (già il nome è tutto un programma), licenziato dal padrone perché sospettato di portare “iella”. Il pubblico, in un certo senso, si abitua alle continue battute e alle spettacolari interpretazioni dei personaggi (esilarante Luana Pantaleo nel ruolo della cameriera Tina), che apparentemente vivono in modo passivo le buffe superstizioni di Gervasio, subendo i suoi continui cambi di programma, riti scaramantici assurdi e parabolici ragionamenti per allontanare la sfortuna.

Finché, ironia del destino, alle dipendenze del commendatore Savastano giunge Sammaria Alberto (Antonio De Rosa): giovane rampante e intelligente ragioniere che però ha il difetto di essere cifotico. Gobbo per i profani e per i personaggi sul palco, ma fonte di buona sorte per il nostro Gervasio. Tutto sembra andare per il verso giusto, tanto che il commendatore alla fine convince sia la moglie Teresa (Lelia Mangano De Filippo) e figlia Rosina (Maria Laura Caselli), già innamorata di un altro giovane impiegato, a combinare un matrimonio tra i due per garantirsi un futuro pieno di fortuna. Il dialogo è serrato, i tempi teatrali sono perfetti, le interpretazioni dei ruoli calzate a pennello, per questo forse il monologo del protagonista a metà del secondo atto, quando si pente delle nozze per paura che i nipotini nascano con la gobba, risulta prolisso, perché privo di quella battuta finale o di quegli intercalari divertenti che avevano caratterizzato tutta la commedia fino a quel punto.

A rimettere le cose a posto, però, ci pensa il genio di De Filippo: il colpo di scena è all’italiana e si inserisce nel più classico dei lieto fine. Sammaria non è altri che il giovane di cui Rosina era da sempre innamorata e come scrive lo stesso Mirabella “la gobba era solo un artificio per consentire ad Alberto di entrare nelle grazie di Gervasio, “gabbato” dalla gobba come contrappasso giudizioso per punirlo della sua superstizione”. La morale? “Fermo resta l’intento di ridere dell’ignoranza e delle superstizioni sopportando l’urgenza della scaramanzia e ricordando il filosofo che, pazientemente sornione avverte: non è vero, ma ci credo”.

VIDEO: il film completo, del 1952, "Non è vero ma ci credo"

 

 




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