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Renzi presenta la nuova segreteria del Pd: 7 donne e 5 uomini, età media di 35 anni, Debora Serracchiani responsabile per i trasporti e le infrastrutture il nome più noto. I segni del rinnovamento del partito da chi prometteva di rottamare i vecchi vertici sono iniziati, ora che il sindaco di Firenze ha avuto “la fascia di capitano” dal 68% dei circa 3 milioni di elettori che l’8 dicembre si sono recate alle primarie. “Non è la fine della sinistra, ma di un gruppo dirigente”, replica Renzi a chi in tutto questo tempo lo ha accusato di non avere gli stessi valori identitari dello schieramento: “si cambiano i giocatori, non stiamo andando dall’altra parte del campo”, l’ultima delle metafore calcistiche tanto care alla politica dalla “discesa in campo” di Berlusconi che voleva “fare l’Italia come il Milan” – viene il dubbio che fosse una profezia della situazione attuale dei rossoneri e non un riferimento a quello vincente del 1994. E dopo il governo del fare del Cavaliere ed il decreto del fare dell’esecutivo Letta, la campagna elettorale del fare proposta da Renzi, una parola d’ordine che ha un po’ camuffato alcuni apparenti buchi programmatici, per gli altri versi tappati con la promessa di stravolgimento della “nomenklatura”. Quasi il Pd volesse sfidare il Movimento 5 Stelle sul suo stesso campo, ma “senza insultare, senza fare liste di proscrizione di giornalisti e politici”, ribadisce Renzi. La fine del governo Letta non è all’ordine del giorno dell’agenda politica di Renzi, che subito ha trovato in Alfano un interlocutore attento, almeno per il 2014, anno in cui si dovrà mettere a punto la legge elettorale e magari fare qualche aggiustamento nell’economia, in un momento in cui arrivano le prime prospettive ottimistiche di crescita, secondo l’Istat già dal prossimo trimestre, con anche il commissario europeo Barroso, ospite da Fazio, fiducioso sul nostro destino – sarà. Ma la sensazione è che si sia già in campagna elettorale, nonostante la scadenza naturale dell’esecutivo sia nel 2018. Il governo di larghe intese non ha soddisfatto praticamente nessuno, né il Pd che avrebbe voluto più margine d’azione, né l’ex Pdl che non è riuscito a salvare il Cavaliere dalle vicissitudini giudiziarie, né i 5 Stelle, autoesclusisi nella speranza che il fallimento portasse ad un loro “monocolore”. Pazienza che gli obiettivi di uscire dalla crisi non siano centrati quindi, per usare un’altra metafora calcistica è come una squadra che nemmeno a metà stagione sa di non poter vincere lo scudetto e pensa già al campionato successivo e non a salvare il salvabile. Il nodo sta nella legge elettorale, dichiarata incostituzionale proprio negli ultimi giorni dalla Consulta nei punti in cui prevede l’assegnazione del premio di maggioranza e le liste bloccate. Peccato che nel frattempo ci siano state già due tornate. Di fatto, al momento, si tornerebbe al “Mattarellum”, un maggioritario al 75% con recupero proporzionale. Ma i lavori da quasi tutte le parti sono in vista di un sistema che privilegi il bipolarismo. E non servono studi matematici per capire come non sia una strada percorribile, già che gli schieramenti accreditabili di vittoria sono almeno tre, escludendo il Nuovo Centro Destra, Lista Civica ed eventuali formazioni meteora come Rivoluzione Civile o Fare – ancora questo verbo – per Fermare il Declino, che alle urne nemmeno ci è arrivato. Tre forze, tre leader accentratori. Anche il Pd si è adeguato alla necessità di una figura carismatica, che in realtà da Kennedy in poi nello scenario internazionale è stata vincente, pur non sempre funzionale, vedi la parabola de “l’effetto Zapatero” o le riforme di Obama osteggiate dalla maggioranza repubblicana al Congresso. E al momento tre leader fuori dal Parlamento, due dei quali dovrebbero rimanerci, per scelta (Grillo) o per necessità (Berlusconi). Provare ad orientarsi con i sondaggi sarà un esercizio tanto divertente quanto inutile. Le ultime elezioni sono state la prova lampante. Il Pd avrebbe dovuto vincere a mani basse superando il 30%, senza il voto degli italiani all’estero sarebbe stato il secondo partito. Berlusconi era dato morto, in una sola apparizione tv da Santoro ha praticamente raddoppiato le sue percentuali. E Monti sarebbe potuto essere l’ago della bilancia, così come Ingroia a sinistra. Ora? Renzi riporterà l’elettorato deluso all’ovile, più probabilmente strappandolo ai 5 Stelle? La gente sarà ancora accondiscendente ai continui attacchi dell’ex comico genovese, in netto calo nelle amministrative di qualche mese fa per la miopia politica – di fatto la mancata coalizione con il Pd ha lasciato Berlusconi nell’esecutivo – e ora delirante contro i giornalisti critici come la Oppo, nemmeno fosse il Cavaliere da Sofia? E Forza Italia reggerà le multiple condanne del suo leader, nonostante rivendichi lo stesso spirito del ’94 o l’elettorato si orienterà su un partito più “normale” come il Nuovo Centro Destra? Probabilmente lo si saprà prima del 2018, il 2015 viene accreditato come l’anno di fine legislatura. Ma sembra un po’ di assistere ad un brutto film, in cui non si resta proprio incollati allo schermo ad attendere impazienti il gran finale… Si va avanti per default. |
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| I commenti: | |||
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Commento
1)
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| Commento di: emilia.urso | Ip:83.73.103.204 | Voto: 7 | Data 05/12/2025 02:45:30 |
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