Quello Stato che ora attinge a piene mani anche dall’accantonamento degli impiegati che a suo tempo decisero di lasciare il proprio Trattamento di Fine Rapporto lavorativo (TFR) nelle casse dell’Inps. E non da ne garanzie ne uno straccio di ricevuta scritta ai contribuenti. Lasciati orfani e senza conferme di poter attingere un giorno a quel piccolo porcellino salvadanaio, riempito col sudore della fronte.
Mentre la quota quotidiana di calci viene equamente distribuita – unico ed ultimo punto fermo di “equità” civile - e chi riceve la propria corre ad alimentare le casse di uno Stato fallimentare già da anni, i “Leader” dell’esercito di “scalciatori” del popolo, prendono “grandi decisioni”. Decisioni gravi. Solenni. Tambureggianti. Prioritarie. Per il popolo? Giammai. Quello ha già ciò che merita: il suo calcio nelle palle quotidiano. Semmai c’e da decidere in fretta una nuova trovata per garantirsi potere: ancor più di quanto se ne abbia.
L’indignazione nasce da un buon sentimento, che è quello di una sorta di onestà mista alla capacità di adeguarsi al cambiamento operato per vie traverse, non dalla naturale evoluzione umana, bensì da ciò che chi comanda, prevede di ottenere. Non accettare scientemente queste vie traverse, sarà alla base di un processo di revisione del concetto comune di cittadinanza. Indignazione è un punto limite. Un punto di non ritorno. E non l’abitudine ad esserlo.