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Una 'buona scuola' per l 'Italia

Una 'buona scuola' per l 'Italia
Autore: Teresa Corrado - Redazione Attualita'
Data: 13/09/2014

Il progetto di Matteo Renzi di “buona scuola”, fa presagire che la scuola attuale, figlia di rinnovamenti della Moratti, di Fiorono, della Gelmini, non sia stata “ristrutturata” nel migliore dei modi. Eppure, quando i vari governi, che si sono succeduti con relativi ministri, di destra o di sinistra, promuovevano le loro innovazioni, per una scuola fondata sul futuro, sulla tecnologia, sul miglioramento, ammonivano chi, vivendo attivamente all’interno della scuola, li esortava a non distruggere quello che negli anni era stato un grande passo avanti per il settore scolastico.

Un esempio su tutti, la riforma dei programmi dell’85, relativi alla scuola dell’Infanzia e alla scuola primaria. Quei programmi che erano costati studi di pedagogisti, psicologi, insegnanti, dirigenti scolastici e istituzioni, avevano segnato un cambiamento epocale, modificando il vecchio ordinamento scolastico. Si dava spazio alla ricerca, ai laboratori, ad una metodologia attiva, non dimenticando gli insegnamenti. In tenera età, infatti, la mente dei bambini e delle bambine, ha in prevalenza, una funzione di assorbimento di tutto ciò che viene detto loro. Per questo si dava la possibilità di apprendere tutte le basi delle materie, della storia, della geografia, della musica, della matematica, dell’italiano, di ogni materia, in modo tale che a loro stessi, veniva data la possibilità della conoscenza.

Un lavoro di impegno, sicuramente non perfetto, ma impostato per dare a tutti la possibilità di imparare e apprendere crescendo. Autonomia della scuola, era la parola che riecheggiava all’interno dei programmi. I risultati non si erano fatti attendere. La scuola italiana primeggiava, soprattutto all’interno del scuole di base, in tutto il mondo. Insegnanti venivano dall’estero per apprendere e conoscere i nostri metodi, venivano per imparare ad insegnare. Per gli insegnanti, i pedagogisti, non era una novità italiana, basti pensare ai metodi delle sorelle Agazzi, di Pestalozzi, della Montessori, per citarne alcuni, per comprendere quanta importanza nella storia ha avuto l’Italia, ma, prima di tutto, quanto l’Italia dava importanza alla scuola e all’arte, alla cultura.

Tutto è stato ribaltato dai governi successivi, dai Ministri che volevano lasciare una traccia del proprio nome in successive modifiche dei programmi, ribaltando l’intero sistema scolastico e non andando a modificare lì dove era necessario. Il metodo più facile è stato quello di abbattere tutto e sulle macerie ricostruire. Ricostruire su una scuola solo in termini di decreti. Una scuola ricca di laboratori e attività didattiche, ma senza soldi per sostenerla, una scuola ricca di tecnologie e innovazioni, ma senza strutture e attrezzature per metterla al passo coi tempi, una scuola dove anche gli insegnanti si sarebbero dovuti aggiornare per migliorare, ma senza uno straccio di corsi, per la solita mancanza di soldi.

Innovazioni in una scuola che strutturalmente cade a pezzi, dove i tagli perpetrati negli anni, hanno solo inasprito i rapporti con i governi. Fermi gli scatti di anzianità, riconosciuti a tutti i lavoratori dipendenti, con maggiore richiesta di impegno. A scuola manca la carta igienica, a scuola non ci sono le salviettine per asciugarsi le mani, il sapone è un miraggio. Non ci sono materiali, soprattutto in quelle fasce d’età dove è indispensabile lavorare con qualcosa. Penso alle tantissime classi delle scuole dell’infanzia e della primaria, che necessitano di colori, fogli, carta, matite, pennarelli, qualcosa che la scuola stessa dovrebbe fornire e che invece non offre. Spesso non ci sono nemmeno giocattoli. Tutto viene chiesto alla bontà dei genitori, che se ne fa carico attraverso i contributi volontari. Quei contributi volontari che per la legge non esistono, ma che permettono alla scuola di esistere, di andare avanti, di essere scuola.

Poi penso a tutti quegli insegnati che svuotano le proprie case, le proprie cantine, il proprio portafogli, per i materiali che servono in classe. Dalle semplici penne o gomme per cancellare, agli armadietti recuperati da qualche parte, alle sedie, alle scrivanie, alla carta per le fotocopie, ai materiali di consumo per la fotocopiatrice, ai propri computer personali, portati a scuola per le lezioni, ai libri regalati per permettere alla scuola di avere una biblioteca.

Una volta un’insegnante mi raccontò della meraviglia di una mamma di fronte alla sua macchina, piena di oggetti e materiali che servivano per la scuola, per la sua classe. La mamma si meravigliò perché in giro si diceva che gli insegnanti le cose da scuola le portavano a casa, invece li accadeva il contrario. E non era la sola insegnante a farlo. Qui non ci sono differenze tra precari e insegnanti di ruolo, c’è solo chi vuole continuare a fare il proprio lavoro per bene, senza doversi fermare perché manca un colore, una penna, un elemento informatico.

Ciò non toglie, che nella scuola, ci sono anche insegnanti che non fanno nulla, che non riescono ad essere presenti, che non sanno spiegare, che non sanno attirare l’attenzione, che non hanno voglia di fare nulla. La scuola non è perfetta, come non lo è l’ufficio pubblico, come non lo sono le fabbriche, come non lo è il Ministero e nemmeno le Camere. Anzi, il sistema di reclutamento scolastico è così complicato da spigare ai giornalisti stranieri, che loro si meravigliano sempre di come sia possibile una cosa del genere in un paese che per secoli è stato la culla della cultura.

Generalizzare non è corretto, anche perché i migliori giudici dei professori, sono proprio gli alunni. Non ti diranno che sei buono, ma che li fai sgobbare come matti, allora sei bravo, non si complimenteranno per la tua cultura ma ti ringrazieranno per la pazienza nello spiegare argomenti difficili, non ti diranno che sei il più buono perché con te ogni giorno è festa, ma si ricorderanno della lezione che hai tenuto, non solo quella relativa alla tua materia, ma anche quella di vita, che ti è capitato di dare involontariamente.


 

 




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