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Recensione: Yap al Maxxi 'Parasite 2.0' il vincitore della sedicesima edizione

Recensione: Yap al Maxxi 'Parasite 2.0' il vincitore della sedicesima edizione
Autore: Recensione della nostra inviata Susanna Schivardi
Data: 23/06/2016

Alla sua sedicesima edizione, Yap – young architects program – il progetto in collaborazione con il MomA di New York, per incentivare i giovani architetti alla soluzione e alla realizzazione di nuovi progetti, espone al Maxxi di Roma, l’opera vincitrice di quest’anno, scelta da una giuria riunitasi a giugno. Ieri sera, il 21 giugno, si è svolta l’inaugurazione con una serata all’insegna di musica, birra e cibo.

Molti gli arrivi, il piazzale antistante al Maxxi era pieno di gente, giovani e famiglie interessati all’arte ma anche attratti dall’atmosfera che si riesce a creare ormai da tempo intorno ai poli culturali, dove si va non solo per visitare esposizioni ma anche per socializzare e trascorrere una serata all’aria aperta in un ambiente assolutamente d’eccellenza.

Fotografia di Susanna Schivardi

Quest’anno a vincere è una triplice installazione, la Maxxi temporary school: The Museum is a school. The School is a battleground , progetto proposto dal gruppo Parasite 2.0. Con questo progetto ci si interroga sul ruolo dell’architetto, come produttore di contenuto. L’installazione trasforma lo spazio in una scuola temporanea in cui la struttura fa da sfondo al confronto e scontro sui temi di stretta attualità. Il dibattito si tesse infatti sul rapporto tra uomo e natura,  declinato sulle note di una nuova era detta Antropocene, in cui la natura viene sensibilmente condizionata dai comportamenti dell’uomo e dai suoi rifiuti. Un tema caro a tanta arte contemporanea, come ci racconta la mostra alla White Noise Gallery dove è esposta l’opera di Stefano Gentile, appunto intitolata Adaptability, per ricordarci di quanto plastica e rifiuti non riciclabili caratterizzeranno il substrato terrestre per i millenni a seguire.  

Fotografia di Susanna Schivardi

Le installazioni al Maxxi sono fatte di gomma riciclata da pneumatici usati, in una dimensione minimalista ed essenziale, dove si può entrare e farsi dei selfie. Poi con un’applicazione è possibile ricreare uno sfondo artificiale di natura incontaminata in cui l’uomo è assente, sottolineando la scomparsa del limite tra naturale e artificiale ormai giunti ad una totale ibridazione. La domanda è: “siamo giunti nell’era di instagram architecture dove l’unico compito dell’architetto è creare una scenografia unica e sconvolgente per un selfie da mille visualizzazioni?”. La domanda si pone esponenzialmente se nell’immagine c’è un infinito senso da leggere e rileggere, fino alla perdita di senso.

Fotografia di Susanna Schivardi

È la sensazione che si prova di fronte alle miriadi di immagini che ci inondano ogni giorno. A questo la risposta è anche un monolite presente nel cortile del Maxxi, costruito in mattoni e cemento, opera di Pedro Cabrita Reis, La Casa di Roma, che costituisce un blocco appoggiato ad una parte esterna del complesso museale, quasi a dare l’idea di volerlo sorreggere. Con questo gesto l’opera vuole essere sostegno ma anche sottolineare la fragilità della costruzione sovrastante e la sua insita caducità. Mettere in discussione la solidità della società delle immagini sarebbe uno dei compiti importanti di cui l’architettura potrebbe e dovrebbe farsi carico; in questo l’opera vincitrice di quest’anno è un chiaro segno sensibile al mutamento veloce dei tempi.




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