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La mia gente

La mia gente
Autore: Editoriale di Padre Maurizio Patriciello
Data: 19/02/2017

Quando posso amo spostarmi a piedi. Tanta gente mi ferma per la strada, mi racconta una storia, chiede una benedizione. Ogni incontro è unico. Dio passa. Nel modo più semplice e inaspettato, Dio passa nella vita di ognuno di noi. Al momento giusto, quando la speranza sembra abbandonarti, quando le forze stanno per venire meno, Dio passa e dona la forza per andare avanti. Un passo alla volta, senza la pretesa di guardare lontano.

“ Lampada ai miei passi è la tua Parola”. Umile lampada che rischiara, non faro che acceca. Quaggiù si avanza sempre nella penombra vespertina. Un giorno tutto ci sarà chiaro. Dal giorno dell’ ordinazione mi accompagna il timore di essere fagocitato solo dal “ sacro”; di fare, più che di essere prete; di cedere alla tentazione del sapere per il sapere; di badare troppo all’ umanità in astratto e poco all’ uomo che mi passa accanto. Tutto serve. A tutti siamo debitori. Da tutti dobbiamo imparare. Anche da chi, lontano da Dio e dal desiderio del bene, oggi è disperato per il male commesso. Voglio imparare ancora.

La noto da lontano, una donna che incede con passo stanco. Ci incrociamo. Si ferma, sorride, si avvicina, mi prende la mano, la bacia. Inizia a parlarmi come continuando un discorso già avviato: « Mio figlio cadde dall’ impalcatura e morì … Sono rimasta sola …». La voce si incrina, gli occhi si bagnano, la stretta si fa più forte, come a volere rubare un poco di forza per continuare a vivere. Non credo di conoscere questa donna ancora giovane. Mi accorgo che le mancano diversi denti. Come tanta nostra povera gente, anche lei deve badare all’ essenziale.

E la cura dei denti non è considerata tale, ma un lusso di cui si può fare a meno. È vestita di nero, il colore del lutto che ancora tante donne indossano per gridare al mondo il loro dolore. La gente ci passa accanto, la vita continua a serpeggiare. Ognuno porta dentro il suo mistero. L’ ascolto, le accarezzo il volto, a mia volta le sorrido. Farfuglio qualche parola di conforto. Sola, è rimasta sola, dopo la morte dell’ unico figlio morto per un incidente sul lavoro. Lo stesso incidente che tanti morti e invalidi ha lasciato negli anni tra i nostri operai edili. Insieme a tante giovani vedove e mamme invecchiate prima del tempo.

L’ edilizia è stata una delle poche risorse della nostra terra, insieme all’ agricoltura. Negli anni passati era quasi del tutto in mano alla camorra che dettava leggi e decideva assunzioni e licenziamenti. Agli operai non venivano riconosciuti i diritti più elementari. Non poche volte, a fine settimana, dopo essersi rotti la schiena, come pezzenti, dovevano passare ore davanti alla casa dell’ imprenditore per chiedere la paga come se fosse un’ elemosina. Non poche volte se ne ritornavano a casa imprecando e a mani vuote.

E per tirare avanti, agli amici degli stessi imprenditori dovevano ricorrere per chiedere un prestito. A usura, naturalmente. La nostra gente. Non poche volte da quelle impalcature tirate su alla buona, senza protezione alcuna, mettevano un piede in fallo e precipitavano giù. Morti sul lavoro. Un lavoro in nero che ha arricchito a dismisura pochi e ha immiserito tanti. Lavoro in nero fatto, però, in piena luce e sotto gli occhi di tutti.

E occorreva andarci piano nel denunciare e protestare per non scatenare la guerra tra gli stessi poveri. Perché eliminato quel lavoro si rimaneva a mani completamente vuote, come sta accadendo ai nostri giorni. Piastrellisti, muratori, stuccatori, carpentieri tra i più bravi e competenti stanno a “spasso”, con le mani in mano. Senza lavoro, senza paga, senza aspettative. Senza dignità. I pensieri corrono lontano. Traccio un segno di croce sulla fronte di questa mamma addolorata.

Lo accoglie come un dono. Dio passa, anche oggi l’ ho incontrato.




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