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Il clima e il nostro futuro

Il clima e il nostro futuro
Autore: Susanna Schivardi - Redazione Scientifica
Data: 15/03/2019

Parliamo subito di dati. Entro il 2030 è assolutamente necessario ridurre le emissioni di gas serra per far sì che la vita sul pianeta Terra possa continuare. I discorsi sono inutili, è necessario agire tempestivamente altrimenti i nostri figli saranno costretti a sopravvivere su un pianeta invivibile. Per avere certezza di salvare il salvabile le riduzione devono essere limitate del 60% rispetto ai valori del 1990 entro il 2030, altrimenti al 2050 ci arriveremo con grande fatica. Gli accordi di Parigi del 2015 ai quali non tutti i paesi si stanno attenendo, sono insufficienti, l’azione deve essere più massiccia ed efficace.

All’ultimo congresso di Katowice Cop 24, 24 paesi si sono confrontati sul futuro del clima ma proprio quelli che avrebbero maggiore potere di modificare la rotta, sembrano chiaramente contrari ad una frenata ai propri interessi economici. Il movimento Green ha cominciato a lievitare grazie ad azioni legali comuni dal basso, come il People’s Climate Case, che si è mosso proprio contro le decisioni dell’Unione Europea che aveva fissato la riduzione del 40% entro il 2030, del tutto insufficiente ad allontanare la minaccia del “punto di non ritorno”.

L’esempio della famiglia Elter in Val D’Aosta nella valle di Cogne è esemplare, questo a riprova del fatto che il problema in Italia non è affatto lontano. Eppure uno dei maggiori ostacoli è proprio la disinformazione, un’ignoranza dettata dal mancato interesse da parte delle istituzioni e dei governi che, evidentemente, non vedono nella Green Economy un approdo di consensi e voti.

In vista delle elezioni Europee la ricerca condotta dal Europe’s Far Right Research Network evidenzia che i partiti di estrema destra e ultra-nazionalisti andati al governo in diversi paesi europei, proprio negli ultimi mesi, mostrano reazioni contrastanti, dallo scetticismo e negazionismo di stampo trumpiano al pallido tentativo di concedere spazio alle polemiche ma senza un reale vigore. Marine le Pen ritiene addirittura che il cambiamento climatico sia un complotto comunista e Matteo Salvini deride l’immigrato climatico. “E chi sarebbe? Il milanese che non ama la nebbia e decide di spostarsi al Sud?”. Parole testuali, ahinoi.

Le lotte dal basso sono le più forti armi che i governi e la gente comune possa utilizzare come vessillo e ispirazione per smuovere coscienze, soprattutto politiche. Al cuore dei gangli della politica mondiale è stata capace di arrivare una ragazzina di 16 anni, la ormai nota Greta Thunberg, faccia pulita, treccine e potente quanto i grandi che hanno parlato a Katowice e Davos, dove proprio lei ha tenuto banco per più di dieci minuti meritandosi una gloria che ha già il sapore di Nobel.

Non affidiamoci comunque ai grandi sensazionalismi, che aprono le porte ai sogni ma sprofondano nell’abisso obiettivi e sforzi. Il cambiamento climatico si sta percependo ormai ovunque in larga o meno larga scala, dall’estremo oriente, dove l’industrializzazione sfrenata e incontrollata ha portato al disastro ecologico in alcune città della Thailandia o della Cina, dove si vive con la mascherina, scuole e Università chiudono e gli ospedali si riempiono di malati che accusano crisi respiratorie e insufficienze polmonari a causa dell’aria inquinata in modo irreversibile, fino alle Alpi italiane dove lo scioglimento dei ghiacci sta preoccupando non poco l’economia delle regioni più esposte.

Alluvioni, venti, piogge repentine, innalzamento della temperatura, scioglimento dei ghiacciai, innalzamento delle coste, ondate di gelo o caldo torrido, sono tutti fenomeni ormai comuni ai quali pare pressoché impossibile adattarsi.

Quello che si dovrebbe fare è molto difficile, perché continenti come l’Africa o l’Asia si lamentano nei confronti dei paesi occidentali, che per secoli hanno saccheggiato i paesi più poveri, sfruttandone le risorse e danneggiandone l’economia e che adesso pretendono che proprio quei paesi rimasti indietro da sempre, siano i primi a fare sacrifici. I pesi in ballo sono talmente grandi che a parlare di cifre viene il mal di testa.

Riduzione di petrolio e carbone, utilizzo di risorse alternative, diminuzione drastica di allevamenti e uso di carne, riduzione di utilizzo di veicoli e tassazione sul carbone, uso di trasporti ad energia rinnovabile e sradicamento quasi totale di economie basate per anni sul “veleno” per la Terra. Un cambiamento drastico nelle abitudini di vita di ciascuno. E non parliamo delle domeniche ecologiche, ma di ben altro.  Viene da chiedersi dove siamo stati finora. Semplicemente nell’indolente illusione di poter continuare così per sempre, nell’illusione di poter polverizzare le risorse del pianeta fino all’esaurimento, sperando che poi, proprio la Terra, fosse in grado di autorigenerarsi.

Ovvio che a farne le spese sono le generazioni presente e future, pagando il prezzo di quelle che hanno vissuto nella scelleratezza e mancanza di progettazione. Le grandi multinazionali oggi additate per prime, sono anche le prime a nascondersi e a non voler rimediare ai danni provocati dalle loro scelte. Nessuno è disposto a perdere in questa battaglia per la vita.

Un medioevo politico a cui sta ponendo rimedio, se non altro mediatico, una bambina che dal 20 agosto 2018 ha impugnato un cartello e si è messa davanti al cancello del Parlamento svedese, scioperando da scuola ogni venerdì, un’azione che, come un’eco silenziosa ma efficace, oggi 15 Martzo 2019, diventa una manifestazione globale, in 105 paesi, 1.659 città di cui 178 solo in Italia. Giovani adolescenti che vedono avvicinarsi una catastrofe epocale e che chiedono ai Potenti della Terra di impugnare decisioni vere e non perdere più tempo.

Sembrerebbe ideologismo o utopia addirittura, giornalisti scettici si accaniscono contro la Thunberg perdendo tempo a criticare la sua nomina al Nobel per la Pace, chiedendosi se alla fine l’immagine innocente di questa bambina non verrà proprio strumentalizzata dagli stessi paesi che lei in prima linea sta criticando con la sua forza ispiratrice. Parla un politichese corretto o semplicemente usa le sue facili parole perché tra trent’anni saranno lei e la sua generazione a pagare le conseguenze delle azioni di oggi. Non ci vuole un genio per capirlo. Greta non è una macchinazione subdola e, Nobel o meno, rimane il simbolo di una battaglia che ancora una volta vedrà vincitori e vinti, peccato che stavolta si combatte per la sopravvivenza su questo pianeta.

A pronunciarsi qualche giorno fa il Presidente Mattarella a proposito del maltempo e dei danni subiti nel Nord Italia che hanno inciso sull’andamento dell’economia in quelle zone, ma anche il Ministro per l’Ambiente Sergio Costa che teme molto per le decisioni che si andranno a prendere nei prossimi mesi, in un Italia che non ce la fa a prendere posizione netta e forte riguardo alle politiche ambientali.

All’ultimo summit organizzato a Nairobi paesi come Stati Uniti, Brasile e Paesi Arabi si sono messi di traverso e non hanno preso decisioni vincolanti in merito, per esempio, all’uso della plastica. In una fase tutt’altro che embrionale di questo scontro tra forti e deboli, staremo a vedere se, come alle Termopili dove gli agili guerrieri Greci hanno sbaragliato la mastodontica massa dei barbari Persiani con la forza dell’arguzia e dell’unione compatta, anche in questo caso l’agilità ideologica del popolo dal basso saprà dirompere nelle maglie impenetrabili delle potenze economiche che dall’alto governano il mondo. 




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